

Proprio in queste pagine dello Zibaldone emergono alcune considerazioni sulla vicinanza tra il metodo del poeta e quello del filosofo, un metodo analogico e comparativo, non dimostrativo come quello della scienza, ribaltando completamente il suo punto di vista espresso nelle opere giovanili. Secondo Leopardi il vero filosofo non può limitarsi alle verità della ragione astratta, ma deve guardare alla realtà concreta, ai fatti empirici, alimentando il proprio pensiero alla fonte dell'immaginazione, tipica della poesia.
Al di là del metodo, sussistono ulteriori differenze di fondo tra Schopenhauer e Leopardi nella concezione generale della realtà a proposito della materia. Infatti mentre per il primo la materia è la manifestazione della volontà quale forza universale che si trova al di là del mondo, sostenendo così una visione dualistica dell'esistente per cui il mondo in cui viviamo è la rappresentazione del mondo della volontà; per il poeta che si rifa alla concezione materialistica tipica dell'Illuminismo, tutta la realtà, anche quella spirituale è ricondotta alla materia dalla quale pure scaturisce il pensiero. Nella formula perentoria del De Sanctis, l'uno è spiritualista , il secondo è materialista.
In realtà vi sono punti di contatto e interessi condivisi tra i due pensatori: la critica del progresso( o con le parole di Leopardi nella Ginestra il disincanto di fronte alle "magnifiche sorti progressive" dell'umanità), l'analisi della noia, la denuncia del dolore e della problematicità dell'esistenza, il valore della compassione universale. Ma questi temi si inscrivono in una diversa visione complessiva del mondo e della condizione umana: al percorso di liberazione tracciato dal filosofo che culmina nel nulla del Nirvana, Leopardi oppone il valore dell'azione contro l'egoismo, l'indifferenza, le "vie d'uscita " puramente contemplative e solitarie, in nome della solidarietà umana, che nella Ginestra diventa appello a tutti gli uomini perchè lottino insieme, pur consapevoli della sconfitta, contro la natura ostile.
La ginestra o fiore del deserto
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste.
E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, doveE la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
(G. Leopardi, La Ginestra o fiore del deserto, versi 297-317)
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