E' sicuramente capitato a chiunque di pensare all'idea di infinità, concetto ambiguo che gioca il proprio significato oscillando dalla matematica alla filosofia e alla poesia. La ragione che per Galileo libera dall'oscuro labirinto in cui è essa stessa intrappolata, aprendo la via della scienza attraverso l'ordine matematico e l'esperienza costituendosi come modello anche per gli altri saperi, libera inevitabilmente la conoscenza della natura, ma lascia sempre più in ombra l'uomo separandolo da essa. E' così che la ragione dell'uomo si smarrisce a sua volta in un nuovo labirinto, dal quale questa volta è il poeta che tenta di farla uscire, mostrandone i limiti, denunciando la frattura tra uomo e natura come esito della conoscenza scientifica, e inseguendo, lungo il filo dell'immaginazione e dello stile, la traccia dell'unità perduta. L'incontro tra Leopardi e Galileo avviene nelle pagine che il poeta dedica al filosofo scienzato nella Crestomazia della prosa in cui elogia lo stile di Galileo ma apre allo stesso tempo la denuncia alla scienza quale conoscenza che si fonda su una ratio astratta, privata dall'immaginazione sviluppatasi dopo di questi (tema espresso nello Zibaldone). Leopardi riconosce nello stile di Galileo i presagi di ripristino di quell'alleanza tra ragione e immaginazione, tra scienza e poesia, che sola, agli occhi del poeta, può fondare una diversa conoscenza delle cose, una conoscenza che, ritrovando l'unità, sia in grado di render conto dell'uomo e del suo destino.
Potremmo mai pensare alla poesia Infinito senza l'immaginazione? Senza sarebbe stata una fredda dissertazione matematica, senza suggestioni, senza la possibilità per ognuno di spalancare il proprio occhio interiore oltre la siepe ebbri di totalità e spossati dal senso di vertigine.
(Liberamente tratto da Lo stile e il labirinto, Lorenzo Polato)
(Liberamente tratto da Lo stile e il labirinto, Lorenzo Polato)
Nessun commento:
Posta un commento