Benvenuto nel mio blog: Filosofia e Poesia per la Vita

Questo blog nasce da una passione per la filosofia e la poesia coltivate ormai da lungo tempo e come tali intimamente legate all'esistenza, al mio modo di vedere il mondo.
Alla filosofia devo la capacità di indagare ciò che mi circonda in un viaggio che permette un divenire che non cristallizza il pensiero; al contrario la vera ricchezza di un percorso non è la meta ma il processo stesso alla conoscenza e alla condivisione di ciò che via via si apprende.
Alla poesia credo che tutti siamo debitori della bellezza e della musicalità con cui riveste la vita; grazie ad essa si comprende il potere evocativo della parola, la sintesi emotiva e razionale che possono essere racchiusi in pochi versi.
Invito chiunque voglia condividere questi interessi a colloquiare sui temi da me o da altri esposti perchè ognuno esprima il proprio pensiero nel rispetto di quello altrui, tenendo fede, cioè, alla finalità del dialogo filosofico.

domenica 20 dicembre 2009

BUONE FESTE AL PROF. BALOCCO (cognome adattissimo alla festività)

AUGURI



IL CONCETTO DI PERSONA E IL DIBATTITO ODIERNO

Riprendo brevemente le dispense del prof. Enrico Berti a proposito della genesi e dello sviluppo del concetto di persona nella storia del pensiero occidentale, per tracciarne una sintetica riflessione sul significato filosofico attribuito dal pensiero odierno dopo Kant.
Un panorama delle diverse posizioni che si affrontano nel dibattito odierno intorno alla persona incontra la stessa difficoltà che si presenta ad ogni tentativo di esporre il pensiero contemporaneo, qualunque sia l'aspetto sotto il quale viene considerato. "Mi sembra tuttavia di poter distinguere almeno quattro linee di tendenza, intorno a cui si raggruppano le posizioni odierne: a) le filosofie che, pur senza essere dei veri e propri personalismi, tuttavia riconoscono il valore della persona" . Tra queste ricordiamo in Germania la posizione di Schelher che nell'ambito della sua "etica materiale dei valori" considera la persona come il "portatore dei valori"; e di Jaspers, di tendenza esistenzialistica, concepisce l'esistenza come un "essere persona", ma non nel senso di un essere già dato, bensì nel senso di ciò che si deve diventare. Ricordiamo l'esistenzialismo di Sartre ed il neotomismo di Maritain in Francia; in Italia, Zamboni, Capograssi, La Pira e Pareyson. "b) i personalismi , , cioè le filosofie che sono interamente incentrate sul concetto di persona e lo assumono come proprio fondamento" . Ci riferiamo principalmente al personalismo francese rappresentato soprettutto da Monier, ripreso anche da Berdiaev, Lacroix e Nédoncelle. In Italia questa filosofia si diffonde dopo la crisi dell'attualiusmo Gentiliano con Carlini, Sciacca, Guzzo e Battaglia. Diverso il caso di Stefanini che pur incentrando la sua filosofia sulla persona non rifiuta le categorie della metafisica classica(inseità, perseità, razionalità) per meglio specificare tale concetto. c) "le filosofie che negano l'esistenza, o la conoscibilità, o il valore della persona", in cui Berti fa rientrare Nietzsche, Heidegger e Vattimo, Deluze e Guattari, Skinner. d) "le diverse forme di ritorno alla persona o, più propriamente, di riscoperta della persona" in cui emergono Hannah Arendt, Apel Habermas, dal neurologo Eccles e dagli esiti della filosofia analitica angloamericana di Frege, Strawson, Kripke e Wiggins.

sabato 19 dicembre 2009

LA GENESI TEOLOGICA DEL CONCETTO DI PERSONA (liberamente tratto dalle dispense di Enrico Berti)

Sembra che non ci siano dubbi circa l'origine del termine latino persona dall'etrusco fersu, che significa maschera, esattamente come il greco pròsopon , che letteralmente significa ciò che sta davanti (pros) allo sguardo (opè) , cioè l'aspetto, il volto.
Dal termine maschera, comica o tragica, il termine persona è passato poi a significare il personaggio che l'attore rappresenta nel dramma, ovvero il carattere, la parte che un uomo sostiene nella società. In generale nell'antichità, sia greca che romana, la persona indica l'individuo umano soggetto di diritti, in quanto cosciente e responsabile di sé (il nostro"capace d'intendere e volere).
Questo individuo riceve una straordinaria valorizzazione dal cristianesimo, che ne sottolinea la singolarità, cioè l'insostituibilità nell'economia della salvezza.
Il concetto entra nel lessico colto attraverso la teologia, quando Tertulliano per la prima volta lo applica alla Trinità divina, indicando che in essa vi sono tre personae, una substantia. In questo caso il termine persona significa individuo concreto, cioè sussistente, che si manifesta nel suo agire e nel suo parlare, mentre il termine substantia equivale al greco ousìa, inteso come essenza, cioè come naturaa più individui ed uguale in tutti.
Ovviamente il sognificato di questo termine ha dato luogo a forti controversie, basti pensare alla teologia greca con Origene e all'eresia di Ario che sosteneva riguardo alla Trinità che si trattasse di tre hypostàseis disposte in scala discendente , dove ovviamente hypostàseis o ousìai , non indicano un'essenza comune. Solo con il Concilio di Costantinopoli nel 369 codifica definitivamente come "una ousìa in tre hypostàseis" , usando in luogo di quest'ultimo termine anche pròsopa , cioè "persone", e stabilendo in tal modo l'equivalenza di "ipostasi" e "persona". In questa formula ousìa significa evidentemente essenza, cioè natura divina, e persona significa individuazione della natura divina, natura divina sussistente in un individuo.

mercoledì 16 dicembre 2009

Origine del concetto di persona nella storia del pensiero occidentale


Nell'iter formativo universitario che ho affrontato a Padova non posso non ricordare uno dei corsi più belli ed interessanti che abbia avuto modo di seguire, quello di Storia della Filosofia del professor Enrico Berti sull'Identità e persona nel pensiero contemporaneo.
La riflessione sul concetto di persona è ormai un'esigenza inalienabile perchè a fondamento di importanti orientamenti bioetici, di considerazioni politiche e di impostazioni morali che investono tanto la sfera del privato quanto la sfera dell'azione sociale, estendendosi in questo senso anche all'etica ed oltre, come accennerò ripercorrendo molto sinteticamente le parti importanti delle dispense che conservo come un grande tesoro.
Le vicende storiche del concetto di persona portano ad una curiosa constatazione, cioè che quanto più è andata accentuandosi la consapevolezza del valore della persona dal punto di vista morale e giuridico (il vertice è rappresentato da Kant) tanto più è entrata in crisi la convinzione del suo spessore ontologico, cioè del suo carattere di sostanza, di soggetto irriducibile alle sue attività. Proprio questa sfasatura ha contribuito a recuperare da qualche tempo al recupero di quello spessore come condizione necessaria a spiegare fenomeni fondamentali, quali la comunicazione intersoggettiva e la persistenza dell'identità personale.
Infatti si può concordare sull'idea che, se la persona non è sostanza, ben difficilmente può rendere ragione dei fenomeni che la riguardano e questo per motivi di ordine conoscitivi prima che di ordine pratico.
Si è scoperta la necessità "di tornare alla concezione classica, secondo la quale la persona è una sostanza individuale, cioè un substens , di natura razionale, cioè intenzionata all'universale e quindi libera nei confronti di ogni condizionamento particolare" . Pur non soddisfando in tutto le esigenze odierne evocate dalle nuove scienze (antropologia, psicologia etc.), la concezione classica è da questo punto di vista aperta e suscettibile di integrazioni.
Oggi Berti ritiene fondamentale approfondire, dal punto di vista specificatamente filosofico, il concetto di natura umana che non sempre si comprende come indissolubilmente legato al concetto di vita umana, "per cui la natura umana qualifica il soggetto come persona sin dal momento in cui esso inizia a vivere...non è sensato sostenere che l'uomo è solo un aggregato di cellule, perchè in tal modo ci si lascia sfuggire proprio ciò che le tiene innsieme e le fa essere un organismo unico , dotato di un'identica vita, cioè appunto un uomo; ne è sensato pensare che lo zigote è una cellula come le altre, poichè da essa si sviluppal'intero organismo, mentre dalle altre ciò non accade".
Come potete immaginare queste parole non lasciavano indifferenti noi studenti, accalcati in una delle aule più grandi del Liviano, pronti a discuterne subito dopo tra noi. In quei momenti avevo la netta percezione che stavamo facendo tutti insieme filosofia. Ero molto felice.

martedì 15 dicembre 2009

Il "Don Giovanni" di Mozart attraverso la filosofia di Kierkegaard


Desta in me molta curiosità l'attenzione la modalità con cui un filosofo come Kierkegaard, giovane, tormentato, irrequieto colga in chiave filosofica la distinzione tra amore che coinvolge la totalità dell'uomo e quello effimero, disinteressato dell'amore sensuale che noi oggi definiremmo "ridotto alla sfera sessuale". Con il don Giovanni, nella cui figura il desiderio è assolutamente determinato come tale, si apre lo spazio in cui può agire la capacità di seduzione. Come seduttore, sostiene Kierkegaard, l'amore di don Giovanni è sensuale e non psichico, è l'amore sensuale che per sua stessa natura non è fedele, al contrario "è privo di fede, non ama una ma tutte, vale a dire seduce tutte. Esso infatti è soltanto nel momento, ma il momento è concettualmente pensato come la somma dei momenti" .
Mentre l'amore che fa riferimento alla psiche, ossia all'anima, è amore fedele e non si riduce come l'amore sensuale al fatto che "resta sempre una ripetizione" . L'amore psichico ha in sé il dubbio, l'inquietudine, s'interroga se sarà felice, se vedrà soddisfatto il proprio desiderio, al contrario dell'amore sensuale che non ha preoccupazioni.
Ma Kierkegaard getta uno sguardo più profondo nel sottolineare la differenza tra l'amore psichico definito "qualitativo"ossia attento all'individualità e sussistente nel tempo, e l'amore sensuale, "quantitativo" per cui la femminilità è completamente astratta, ed è sparizione nel tempo, e per il quale l'unico mediatore capace di esprimerlo è proprio la musica. Quest'ultima, infatti, "è adattissima a far questo perchè più astratta del linguaggio, e quindi non dice il singolare ma l'universale ma l'universale in tutta la sua universalità" che, tuttavia, non è raggiunta attraverso la riflessione astratta, bensì nella concreta immediatezza. Per il protagonista, infatti, certe differenze non valgono tanto da affermare "Io non sono affatto un marito che ha bisogno di una fanciulla straordinaria per essere felice, ciò che mi rende felice l'ha ogni fanciulla e quindi le prendo tutte"(verso tratto dall'op. mozartiana composta sul libretto di Lorenzo Da Ponte). Dunque quello che Don Giovanni cerca non è lo straordinario , ma l'ordinario, ciò che ogni donna ha in comune con ogni altra donna.
A questo punto il filosofo s'interroga sul potere seducente dell'esteta che non fa leva su una strategia "qualitativa" e individualizzante per conquistare i suoi oggetti del desiderio per concludere che questa sua forza "E' quella del desiderio, l'energia del desiderio sensuale. In ogni donna egli desidera la femminilità tutt'intera, è sta lì la potenza sensualmente idealizzante con la quale in un sol colèpo abbellisce ed espugna la sua preda. Il riflesso di questa gigantesca passione abbellisce e perfeziona il desiderato, che rispecchiando in essa, arrossisce di accresciuta bellezza. come il fuoco dell'entusiasmo illumina con seducente splendore anche quegli estranei che si trovino in rapporto con lui, così don Giovanni trasfigura ogni fanciulla, ma in un senso molto più profondo, poichè il suo rapporto con lei è un che d'essenziale. Per lui scompaiono dunque le differenze finite di fronte a quella che è la cosa più importante: una donna"

domenica 13 dicembre 2009

Kierkegaard interprete di Mozart

Il tema della sensualità e della seduzione come componenti della vita estetica trova largo spazio in Enten-Eller di Kierkegaard, in cui sono contenuti due scritti Gli stati erotici, ovvero il musicale erotico, e nel quale facendo riferimento all'opera di Mozart, tratteggia il ritratto di Don Giovanni come figura dell'ìesteta, e il Diario di un seduttore , in cui l'autore ripropone il motto dell'opera mozartiana, in cui l'io narrante espone la propria strategia erotico seduttiva per vincere le resistenze della giovane Cordelia.
Gli Stati erotici immediati è una raffinata lettura della musica di Mozart, di cui il filosofo è un ammiratore; la musicalità del personaggio don Giovanni si spiega col fatto che la musica è la più sensuale delle arti, perchè si rivolge direttamente ai sensi- all'udito- senza passare attraverso il concetto. La musica di Mozart in particolare, è un concentrato di sensualità, una sorta di campionario delle diverse forme della sensualità culminanti in don Giovanni, la cui potente vitalità erotico sensuale si esprime nella dimensione estetica, estranea ad ogni problema di eticità; in essa c'è il trionfo della carne contro lo spirito, ma senza il peccato, perchè il peccato si compie solo quando interviene la riflessione, come nel linguaggio in cui l'immediato non può essere espresso. Ma quando si riflette la sensualità immediata non esiste più per cui ci si ritrova necessariamente in un orizzonte al di là dell'orizzonte musicale in cui don Giovanni vive





giovedì 10 dicembre 2009

La vita come apparenza: Schopenhauer e Leopardi


Il tema schopenhaueriano della vita come apparenza, vanità e dolore chiama in causa Leopardi, accomunato a Schopenhauer per quanto riguarda le tematiche, ma distinto per quanto riguarda il metodo d'indagine, ovvero il punto di vista da cui viene guardata la realtà, in un caso da filosofo, nell'altro da poeta: "Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore", afferma il De Sanctis quando ancora non so conosce lo Zibaldone di pensieri, un'imponente raccolta di matreriali diversi, osservazioni, appunti e ricerche a cui il poeta aveva lavorato fra il 1817 e il 1832.
Proprio in queste pagine dello Zibaldone emergono alcune considerazioni sulla vicinanza tra il metodo del poeta e quello del filosofo, un metodo analogico e comparativo, non dimostrativo come quello della scienza, ribaltando completamente il suo punto di vista espresso nelle opere giovanili. Secondo Leopardi il vero filosofo non può limitarsi alle verità della ragione astratta, ma deve guardare alla realtà concreta, ai fatti empirici, alimentando il proprio pensiero alla fonte dell'immaginazione, tipica della poesia.
Al di là del metodo, sussistono ulteriori differenze di fondo tra Schopenhauer e Leopardi nella concezione generale della realtà a proposito della materia. Infatti mentre per il primo la materia è la manifestazione della volontà quale forza universale che si trova al di là del mondo, sostenendo così una visione dualistica dell'esistente per cui il mondo in cui viviamo è la rappresentazione del mondo della volontà; per il poeta che si rifa alla concezione materialistica tipica dell'Illuminismo, tutta la realtà, anche quella spirituale è ricondotta alla materia dalla quale pure scaturisce il pensiero. Nella formula perentoria del De Sanctis, l'uno è spiritualista , il secondo è materialista.
In realtà vi sono punti di contatto e interessi condivisi tra i due pensatori: la critica del progresso( o con le parole di Leopardi nella Ginestra il disincanto di fronte alle "magnifiche sorti progressive" dell'umanità), l'analisi della noia, la denuncia del dolore e della problematicità dell'esistenza, il valore della compassione universale. Ma questi temi si inscrivono in una diversa visione complessiva del mondo e della condizione umana: al percorso di liberazione tracciato dal filosofo che culmina nel nulla del Nirvana, Leopardi oppone il valore dell'azione contro l'egoismo, l'indifferenza, le "vie d'uscita " puramente contemplative e solitarie, in nome della solidarietà umana, che nella Ginestra diventa appello a tutti gli uomini perchè lottino insieme, pur consapevoli della sconfitta, contro la natura ostile.
La ginestra o fiore del deserto
E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste.
E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, doveE la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
(G. Leopardi, La Ginestra o fiore del deserto, versi 297-317)

lunedì 7 dicembre 2009

Cos'è realmente il limite?

Il concetto di "limite"

Qual'è il valore funzionale del limite? Nel riflettereci ci accorgiamo che questo concetto attraversa inesorabilmente tutto l'esistente, dalle dissertazioni di ordine filosofico alle semplici pratiche della quotidianità. Sarebbe impensabile l'idea del diritto se questa non fosse limitata da quella del dovere, tantomeno si potrebbe parlare di libertà personale senza che si faccia riferimento a quella altrui che della propria ne sono il limite. Persino nel modo di comunicare, nell'uso del linguaggio, nella distanza stabilita tra le persone si rispettano regole fondamentali, più delle volte in modo inconsapevole, che segnano il limite entro il quale ogni rapporto si pone come socialmente adeguato. In ogni caso si ravvisa una doppia valenza di tale concetto: una positiva, il limite cioè è l'ambito entro cui si ha la certezza di agire, di essere ciò che si deve essere, è lo spazio di sicurezza entro il quale siamo tutelati; l'altra negativa per cui il limite è il confine che ci ostacola, ci stringe entro confini che troppo spesso la natura umana non resiste. Questo è il caso dei ragazzi nel video e il personale tentativo di opporsi al limite, di assumerlo e oltrepassarlo.
Nel guardare il video si ha quasi la sensazione che il limite sia una linea che all'uomo è data la possibilità di superare, mai in modo definitivo, ma solo per pochi attimi in cui ci si trans-forma, momenti in cui si forzano i legacci è si è oltre se stessi.
Si può far corrispondere l’origine dell’idea di limite con i primi ricorsi al logos, alla ragione da parte dei savi ellenici. Già i pitagorici infatti cominciano a parlare del peras (confine, limite) come dell’antitesi positiva rispetto alla negatività dell’ apeiron (infinito). Da notare in prima istanza la diversa concezione di limite, di confine che si ha in antichità e quella dei nostri giorni dell’esistenzialismo. La corrente esistenzialista considera il limite come insufficienza e instabilità della natura umana, quindi con un’accezione decisamente negativa. Comunque non vi è dubbio sul fatto che l’idea di limite sia l’incipit per tutto il pensiero filosofico che si svilupperà col tempo. Si può ritenere il limite come il padre della filosofia, il quale prima mette dei confini alle certezze tradizionali (mito e poesia) criticandole alla luce della ragione, poi fa di tali confini dei punti stabili che però con l’avvento della filosofia moderna pian piano crolleranno, sotto i colpi del criticismo kantiano prima e del decostruzionismo nitzscheano-derridiano poi.
Qui è compresa pure la visione cristiana, che fa coincidere il limite con la dottrina del dogma, il limite imposto da Dio. E così Copernico, Galileo, Giordano Bruno trovano la loro strada sbarrata all’interno di una tale mentalità. Bisognerà aspettare l’illuminismo con i vari Voltaire, Kant ed altri e più concretamente forse il positivismo per un cambio di fronte. Superati i muri di un esagerato conservatorismo, odiernamente il limite si configura come una continua ricerca della frontiera ulteriore in tutti i campi, specialmente in quello scientifico. Estremamente attuali sono i diverbi riguardanti la procreazione assistita, che mettono sul banco degli imputati la scienza, della quale vanno definiti i confini, sulla base di valori morali che non possono essere ignorati.

domenica 6 dicembre 2009

Leopardi tra poesia e filosofia

Nel 1818, nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica , Leopardi non prende parte alla disputa tra classicisti e romantici, tra poesia autentica e schemi imposti dalle istituzioni. Rifiuta altresì un confronto con i suoi contemporanei perchè sono estranei al senso della poesia, sono infondo giornalisti e filosofi. Leopardi, come poeta, parla di una natura incorrotta, intatta, vergine quale contenuto di una poesia eterna che si appropria di modelli appartenenti all'antichità intesa come stato originario, stato mitico pieno di eventi meravigliosi.
Infondo però sia la poesia che la filosofia fanno appello all'inganno, la prima all'inganno dell'immaginazione, la seconda all'inganno messo in atto dalla persuasione. Nello Zibaldone di pensieri , Leopardi si chiede" Quanto l'immaginazione contribuisca alla filosofia (ch'è pur sua nemica), e quanto sia vero che il gran poeta in diverse circostanze avria potuto essere un gran filosofo(...) Proprietà del vero poeta è la facoltà e la vena delle similitudini. L'animo in entusiasmo, nel caldo della passione ec. ec. discopre vivissime somiglianze tra le cose. Un vigore anche passeggero del corpo, che influisca sullo spirito, gli fa vedere dei rapporti fra cose disparatissime(...)a cui non aveva mai pensato, gli da insomma una facilità mirabile di ravvicinare e rassomigliare gli oggetti delle specie più distinte, come l'ideale col più puro materiale, d'incorporare vivissimamente il pensiero più astratto, di ridur tutto ad immagine, e crearne delle più nuove e vive che si possa credere "

Leopardi e il potere suggestivo dell'immaginazione

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sabato 5 dicembre 2009

venerdì 4 dicembre 2009

Galileo e Leopardi: l'immaginazione e la scienza

E' sicuramente capitato a chiunque di pensare all'idea di infinità, concetto ambiguo che gioca il proprio significato oscillando dalla matematica alla filosofia e alla poesia. La ragione che per Galileo libera dall'oscuro labirinto in cui è essa stessa intrappolata, aprendo la via della scienza attraverso l'ordine matematico e l'esperienza costituendosi come modello anche per gli altri saperi, libera inevitabilmente la conoscenza della natura, ma lascia sempre più in ombra l'uomo separandolo da essa. E' così che la ragione dell'uomo si smarrisce a sua volta in un nuovo labirinto, dal quale questa volta è il poeta che tenta di farla uscire, mostrandone i limiti, denunciando la frattura tra uomo e natura come esito della conoscenza scientifica, e inseguendo, lungo il filo dell'immaginazione e dello stile, la traccia dell'unità perduta. L'incontro tra Leopardi e Galileo avviene nelle pagine che il poeta dedica al filosofo scienzato nella Crestomazia della prosa in cui elogia lo stile di Galileo ma apre allo stesso tempo la denuncia alla scienza quale conoscenza che si fonda su una ratio astratta, privata dall'immaginazione sviluppatasi dopo di questi (tema espresso nello Zibaldone). Leopardi riconosce nello stile di Galileo i presagi di ripristino di quell'alleanza tra ragione e immaginazione, tra scienza e poesia, che sola, agli occhi del poeta, può fondare una diversa conoscenza delle cose, una conoscenza che, ritrovando l'unità, sia in grado di render conto dell'uomo e del suo destino.
Potremmo mai pensare alla poesia Infinito senza l'immaginazione? Senza sarebbe stata una fredda dissertazione matematica, senza suggestioni, senza la possibilità per ognuno di spalancare il proprio occhio interiore oltre la siepe ebbri di totalità e spossati dal senso di vertigine.
(Liberamente tratto da Lo stile e il labirinto, Lorenzo Polato)